di Raffaele Gareri
Ormai è ampiamente condiviso che la pandemia covid19 ha accelerato il processo di transizione ecologica, energetica e soprattutto digitale in Italia e in Europa. Il processo di trasformazione della società civile era già in atto ma il nostro paese mostrava più resistenza al cambiamento. Invece alcune barriere culturali sono cadute a causa del lockdown ed oggi il mondo dell’impresa ed anche della PA affrontano con maggior coraggio la trasformazione dei processi, l’uso di piattaforme e strumenti digitali e l’esplorazione di nuovi modelli di business e di servizi pubblici. Il PNRR ed il nuovo programma comunitario di finanziamenti contribuiscono inoltre a creare un momento davvero straordinario in cui la spinta verso l’investimento, il cambiamento, la sostenibilità e la vera innovazione è più forte che mai. Certo, alcuni rispolverano vecchie progettualità chiuse nel cassetto, ma i bisogni crescenti e la maggiore consapevolezza delle istituzioni, delle famiglie e dei giovani imprenditori potranno aiutare nel processo di selezione delle vere nuove infrastrutture e servizi digitali, sostenibili ed inclusivi.
Alcune realtà metropolitane sono più pronte a rafforzare il proprio impegno a guidare la trasformazione urbana e sociale sulla base di nuovi paradigmi culturali dettati dalle tecnologie digitali (si veda ad esempio Icity Rank 2021 di FPA), ma occorre trascinare in questo processo di sviluppo socio-economico anche le aree a minore densità urbana perché esse costituiscono l’ossatura del nostro sistema socio-economico basato sulle PMI ma anche in alcuni casi presidio di elevata qualità della vita (vedi benchmark qualità della vita del Sole24ore). Ma soprattutto occorre rafforzare la capacità degli stakeholder di convergere verso logiche di crescita condivise ed unitarie. Troppo spesso ancora i principali attori di una città redigono il proprio piano industriali e/o piani territoriali di sviluppo senza processi partecipativi, di confronto e di reciproco sostegno.
Gli elementi centrali del nuovo approccio sono sicuramente la capacità di disegnare ed attivare ecosistemi territoriali, l’attenzione al governo condiviso dei dati ed il partenariato pubblico-privato. A ciò si aggiunge l’importanza di saper ricercare una azione trasversale ai vari mondi applicativi verticali prima che questi si chiudano a silos come nei precedenti modelli organizzativi. Non ultima la necessità di includere e sostenere le varie fasce di popolazione nello sviluppo delle competenze digitali perché altrimenti non riusciremo a rispondere alle esigenze delle comunità che intravedono nelle tecnologie digitali grandi promesse ma hanno sempre l’essere umano al centro delle attenzioni.
Dunque, la riqualificazione urbana che caratterizzerà la nuova generazione di Smart Cities, sarà un gran successo tanto più sarà effettuata secondo questo approccio. Avremo bisogno di coniugare interventi negli edifici, nei quartieri e nelle piazze, che riducano i consumi energetici, che inducano comportamenti e stili di vita sostenibili per le comunità e che siano inclusivi delle diverse fasce di popolazione. Gli enormi progressi sui materiali e sul design unitamente alle nuove tecnologie digitali (cloud, IoT, AI e blockchain) ci offrono nuove dimensioni di intervento per offrire alle persone un uso degli spazi e dei mezzi enormemente più ricco e funzionale. L’interconnessione del mondo virtuale e di quello reale apre ad una riscoperta degli interventi di riqualificazione urbana non solo nelle città ma anche nelle aree rurali che oggi sono quindi meno lontane dai processi di crescita socioeconomica.
Questa rivoluzione in atto nella società trasformerà anche i modelli di business delle imprese tradizionali e diverse di queste stanno già riorientando i propri piani di investimento. Ad esempio Linkem, società leader nel mercato delle telecomunicazioni FWA (Fixed Wireless Access) ha deciso già da qualche anno di investire su startup innovative nel monitoraggio ambientale, nella promozione del turismo, nella robotica, nel welfare per anziani etc. Adesso punta a sviluppare un proprio programma di partnership (Future Communities) tramite il quale sviluppare piattaforme trasversali di governo dei dati in grado di creare sinergie con i sistemi verticali prodotti anche da altri partner. Ma soprattutto ha l’obiettivo si sostenere la pubblica amministrazione locale nei processi di orchestrazione territoriale che porteranno allo sviluppo di nuove infrastrutture digitali al servizio della smart mobility, di politiche di welfare innovativo, di processi di inclusione sociale, di monitoraggio ambientale e più in generale, dunque, della riqualificazione dei quartieri, delle piazze e degli strumenti di sostegno alla interazione delle persone nelle community.
Questo fenomeno è già in atto in diverse città d’Europa. I rapporti che l’associazione The Smart City Association Italy intrattiene con i funzionari ed imprenditori di altre città europee ci mostrano come ogni città diventa smart puntando sulla propria storia e vocazione. Dublino sulla capacità di sviluppo imprenditoriale, Barcellona sui processi partecipativi, Amsterdam sulla cooperazione con i privati, Tampere sul governo dei dati, Copenhagen sulla transizione energetica e riduzione della CO2.
In conclusione, la sfida principale per le nostre città sarà sviluppare la capacità di affrontare i problemi con un approccio multidisciplinare, sostenendo le istituzioni ad occuparsi non solo di procedimenti amministrativi ma nell’operare come orchestratore neutrale dello sviluppo economico al fine di garantire opportunità per le imprese ed inclusione di tutti gli individui. Gli strumenti digitali ed i nuovi modelli che si stanno affermando saranno decisivi per rendere smart le nostre communities, ma non dovremo dimenticare di guardare agli asset costruiti del nostro passato ed a problemi specifici che affliggono il presente delle nostre comunità per scegliere la giusta direzione di marcia verso il futuro.